Trieste è una città singolare, dalle caratteristiche bizzarre, come il vento che la sferza insistentemente e che si chiama Bora. Si tratta di una corrente d’aria fredda, violenta e turbolenta, che si crea a causa delle forti variazioni di temperatura e deve il suo nome a Borea, personificazione del vento del nord secondo la mitologia greca classica. Ripensando alla definizione data alla città giuliana, paragonata ad un “anfiteatro sulla groppa di una montagna con i piedi bagnati dal mare”, si possono comprendere meglio le origini della Bora che nasce sui rilievi del carso e si rafforza in raffiche a causa del suo raffreddamento in cima alle alture, per poi scendere prepotentemente verso la costa. Questi soffi impetuosi, chiamati simpaticamente dai triestini “refoli”, sono considerati il “respiro di Trieste” e possono superare i 130 Km/h.
Per rappresentare il forte legame dei triestini con questo vento impetuoso, in suo onore, gli è stato dedicato sia una strada nella città vecchia, forse per ricordare i tempi in cui bisognava aggrapparsi ai corrimani ancorati ai muri delle case per non finire a terra, sia una parola nel dialetto locale, “imborezà”, che di fatto significa eccitato, agitato, proprio come questo soffio ribelle che ci fa perdere l’equilibrio, ci distrugge gli ombrelli e ci fa volare i cappelli…. E per finire nel 2004 è arrivata la sua consacrazione con il Museo della Bora, uno spazio curioso e bizzarro che gioca sull’immaginazione.
Diversi sono gli appellativi e i soprannomi: “bora chiara” se il cielo è sereno, “bora scura” se è accompagnata da un cielo nuvoloso, dalla pioggia o dalla neve, “el borin”, nei casi in cui il vento sia poco più di una brezza, “el borineto” invece se è caratterizzato da intense folate. Quasi fosse un personaggio mitologico la Bora, nel tempo, ha dato seguito ad una serie di leggende. C’è chi narra sia una strega che vive sul Carso, chi la identifica con una ninfa, che si serve del gelido vento per vendicarsi degli uomini che uccisero il suo amato. Ma per i triestini è qualcosa di più. Come scrisse Paolo Rumiz, “i triestini sono una razza inquieta di esploratori di bettole e di grandi spazi aperti. In entrambe le direzioni, la bora dà loro la spinta determinante, li obbliga a trovare rifugio al chiuso di una taverna piena di fumo, ma li invita anche al viaggio, ripulisce l’orizzonte e lo propone come meta”.
Ma a lambire le coste triestine, come indicato sulla grande rosa dei venti che si trova alla fine del Molo Audace, sono diversi i venti che spirano sul golfo. Maestrale, libeccio, scirocco o grecale, si mescolano e affermano il carattere multietnico della città. Lo scirocco, vento caldo proveniente dall’Africa, di solito porta acqua alta ed il libeccio, accompagnato da umidità e precipitazioni con le sue raffiche scatena onde alte che si infrangono violente sulla costa, lasciando dietro a sè ingenti danni. I fatti recentemente accaduti resteranno tristemente impressi nella memoria dei triestini. Una violenta libecciata ha colpito e danneggiato la riviera di Barcola, divelto dal piedestallo la statua de “la Mula” e devastato il bagno “Sticco”, storico stabilimento balneare triestino che deve il nome al suo fondatore situato sul viale di accesso al Castello di Miramare, al confine con la Riserva protetta del Castello. Ma questa calamità non è l’unica verificatasi nel corso degli anni. Trieste è abituata alla collera imprevedibile e disastrosa del mare incitato dalle forti raffiche di vento. Si rammenta un triste episodio risalente al 1911, quando in seguito ad un fortunale di inaudita violenza si scatenò un uragano di vento e pioggia con onde alte 6-7 metri. Numerose imbarcazioni furono distrutte, insieme alle banchine e a diversi velieri sfracellati sugli scogli. I bagni galleggianti, primi esempi di stabilimento balneare pubblico all’avanguardia, nati per poter offrire i vantaggi dell’idroterapia marina, costruiti su zattere ed ancorati al molo, vennero travolti o seriamente danneggiati. Questo episodio decretò l’inidoneità di questo modello architettonico nel golfo triestino.
Il vento per la città, tuttavia, non è solo sinonimo di disagi, perché ad esso è legata anche la notorietà di questa terra e la fama di molti velisti. Ogni anno ad ottobre si celebra la “Barcolana”, storica regata velica europea, nata nel 1969 per iniziativa della Società Velica di Barcola e Grignano. Una manifestazione sportiva che vede la partecipazione di quasi duemila imbarcazioni di cui alcune progettate con le più recenti tecnologie avanguardistiche, e professionisti di fama mondiale.
Sarebbe impossibile per un triestino vivere senza il vento ed in particolare senza la “sua bora”. Pino Roveredo la definisce “uno schiaffo e una carezza, uno spettacolo della vita quando si unisce al mare quasi in un magico e violento amplesso” e solo noi, figli della Bora con le mani gelate possiamo applaudire lo spettacolo che possiamo vivere….
Leggi l’articolo completo su Trieste News