“Mi presento sono la Val Rosandra, forra rocciosa che incide il Carso alle sue spalle”, inizia così un articolo di Lorenzo Filipaz, triestino e appassionato di montagna. Anche lui come molti abitanti della città giuliana è un amante di questo piccolo angolo di montagna a pochi passi dall’abitato cittadino e dal confine sloveno.

Luogo aspro, a tratti brullo e pieno di sassosi dirupi è da sempre meta di passeggiate domenicali, adatte a tutta la famiglia. La Tergeste romana veniva fino qui per procurarsi l’acqua nell’unico torrente superficiale del ciglione Carsico triestino. Sempre qui nel medioevo correva una delle tante “vie del sale”, l’oro bianco tanto utile per la conservazione dei cibi. E ancora qui si sono esercitati i rocciatori triestini del primo Novecento, che ebbero in Emilio Comici l’indiscusso maestro.

Si può scegliere di percorrerla tutta a piedi, fino a raggiungere il piccolo borgo di Bottazzo, vecchio avamposto di confine, dove le lancette dell’orologio sembrano essersi fermate. Qui, di fronte all’antica osteria, l’unica del piccolo agglomerato, dove molti gitanti domenicali si ritrovavano davanti ad un fumante piatto di gnocchi con il goulash, o una jota casalinga, correva il confine tra l’Italia e la Jugoslavia. E’ rimasta ancora l’antica sbarra al di là del torrente, dipinta di rosso, bianco e blu, con la piccola costruzione presidiata in altri tempi da tre “graniciari” jugoslavi, che talvolta sconfinavano, richiamati dal profumo del buon cibo servito nella vecchia trattoria, ma che allo stesso tempo trasmettevano agli escursionisti un certo timore.

Erano altri tempi, i tempi della cortina di ferro, che con il filo spinato separò fisicamente l’Italia dalla Jugoslavia e divise il mondo in due blocchi, quello comunista e quello occidentale. Ormai sono solo ricordi e da quando gli ultimi gestori hanno lasciato l’attività di ristorazione, anche la vecchia osteria si è aggiunta alle altre poche case disabitate dall’aspetto quasi spettrale. Gli adolescenti invece, soprattutto quelli degli anni settanta, allora meno distratti dai centri commerciali e da altri divertimenti, si fermavano a circa metà del tragitto, in prossimità della cascata  del torrente Rosandra, dove molto spesso la scampagnata si concludeva per i più temerari con un tuffo nell’acqua gelida .Uno dei più bei percorsi infatti, risale il fiume fino ad arrivare allo spettacolare salto del torrente che, precipitando da una parete a picco, si tuffa in una pozza cristallina sottostante, dove l’acqua assume colori che spaziano dall’azzurro al verde smeraldino.

Un tragitto molto più mistico, di devozione e spiritualità, ha invece come traguardo la suggestiva e piccola chiesetta di Santa Maria in Siaris. Isolata, lontana da ogni centro abitato e raggiungibile solo attraverso uno stretto sentiero, si erge in modo inaspettato e quasi acrobatico su uno zoccolo di roccia, alle pendici del Monte Carso, sotto al Cippo Comici, punto panoramico con una piccola stele eretta in memoria del grande scalatore triestino. Edificata nel XIII sec., probabilmente sulle rovine di un’antica torre, ha struttura rettangolare, con abside, portico e un piccolo campanile a vela. Le sue origini sono sconosciute, ma una leggenda narra che fu proprio il grande Carlo Magno a volere la sua costruzione come suo luogo sepolcrale e che invece riposi su di un trono di pietra, attendendo il Giudizio Universale, all’interno di una grotta nelle vicinanze.

Il nome “Siaris” potrebbe derivare dall’antico termine ladino “masiarjs “, ovvero zona piena di pietre, scelta per l’asprezza del suolo come luogo di pellegrinaggio ed eremitaggio per espiazione. Lo statuto trecentesco della confraternita del S.S. Sacramento o dei «Battuti» la ricorda assieme a S. Maria di Grignano come traguardo di una dura penitenza. “Se alcuno bestemmiasse Dio o Sancta Maria, overo altri Santi, o alcuna parola desonesta dicesse che fosse contra l’onor de Dio, per obedienza e disciplina andar debba a Sancta Maria in Siaris descalzo”, recitava lo statuto dei “battuti” e chiunque percorra oggi gli impervi sentieri per raggiungerla, si renderà conto della durezza di questa punizione, soprattutto tenendo conto che il cammino dal monastero al piccolo santuario è di 12 chilometri da percorrere a piedi nudi.

Oggi, a causa dei ripetuti e pesanti atti vandalici subiti in passato, la chiesa è chiusa ed è possibile visitarla solo in rare occasioni. Ma vale la pena organizzare un’escursione in “valle” anche solo per ammirarla all’esterno, magari illuminata dagli ultimi raggi del sole, in quanto l’emozione che se ne ricava è davvero unica!