Dal liston alle vasche in viale fino agli apericena in centro. Una passeggiata nella storia dei passatempi dei triestini.

Con il “liston”, termine preso in prestito dal dialetto veneto, si vuole indicare la tradizionale passeggiata ottocentesca che si snodava per le vie del centro di Trieste. Partendo dal piazzale della chiesa di Sant’Antonio Vecchio, nel Borgo Teresiano, raggiungeva Corso Italia (all’epoca Contrada del Corso), per poi proseguire verso Piazza della Borsa, centro economico della città, toccando Piazza Unità, detta Piazza Grande e concludendosi infine presso il molo San Carlo, oggi conosciuto come Molo Audace, un luogo magico, oggi come allora, da dove si poteva ammirare un bellissimo panorama. Deve il suo nome alle strisce bianche di pietra d’Istria o di marmo bianco che in piazza San Marco a Venezia delimitavano gli spazi dei banchi del mercato del sabato. A quest’antenato dell’attuale “struscio” vi partecipavano benestanti signori e prestanti giovanotti della borghesia triestina, a cui si univano, soprattutto la domenica alla fine della messa, le giovani signore alla ricerca di un gentile ed educato corteggiamento o magari di un buon partito.

Anche la zona di Sant’Andrea, che iniziava nella contrada del Lazzaretto Vecchio, lungo un viale ombreggiato da castagni e pioppi, ospitava una zona di passeggio, al pari di Barcola e Muggia raggiungibili via mare.
La frequentissima passeggiata, riservata dapprima ai patrizi e solo successivamente ai borghesi, aveva il privilegio di passare sul lato destro della Piazza Grande, quello che costeggiava palazzo Modello fino alla Prefettura e si diradava all’ora di pranzo quando la società bene ritornava a casa a bordo delle sue carrozze, lasciando di pomeriggio l’itinerario cittadino alle famiglie più umili.

Il passaggio dal cappello a cilindro e cappellini piumati con parasole in tinta, ai jeans a zampa anni 70, è avvenuto lentamente, passando tra i cruenti avvenimenti delle 2 guerre mondiali e la frizzante frenesia degli anni cinquanta, quando i triestini, sotto il Governo Militare Alleato, abitanti di una città contesa tra le mire espansionistiche di Tito ed il ritorno all’Italia, riscoprirono la voglia di stare di nuovo tutti insieme, di ritrovarsi nelle balere e di scatenarsi al ritmo di boogie woogie, dopo tanti dolori e tante ristrettezze. Ma, un ventennio più tardi, ecco arrivare i complicati anni 70, tra austerity, voglia di libertà e di trasgressione e le lotte politiche. Trieste, città di confine, in questo periodo ha vissuto l’effervescenza di un boom economico legato principalmente al commercio di caffè e jeans con la vicina Jugoslavia. Nel capoluogo giuliano come nel resto dell’Italia si respirava aria di cambiamento. I ragazzi si riunivano con spirito goliardico in grandi compagnie che si dividevano la città, impegnati tra cortei, occupazioni e momenti di grande partecipazione sociale, che significava anche scontro duro tra posizioni ideologiche e politiche opposte. La vita da condividere era fuori casa, lontano dagli adulti, padroni della città e del futuro, perché tutti insieme si sentivano invincibili ed impossibili da controllare. In città il luogo di incontro di molti giovani era il Viale XX settembre, con la prospettiva poi di trascorrere l’intero pomeriggio a fare “vasche”. Con questo termine si descriveva la curiosa abitudine in voga in quegli anni di andare su e giù per la zona pedonale del viale XX Settembre, come farebbe un nuotatore avanti e indietro in una piscina.

Come nell’ottocento la consuetudine del “liston” favorì la nascita di veri e propri caffè situati lungo il percorso, vedi ad esempio il Tergesteo e il Caffè degli Specchi, anche negli anni settanta, lungo l’alberato viale, hanno aperto i battenti le prime storiche gelaterie di Trieste. Si ricordano ancora oggi Zampolli e Pipolo, sia per l’ottimo gelato che per la concorrenza e la rivalità tra di loro, un poco come avveniva in quegli anni in ambito musicale tra la discomusic ed il rock.

Oggigiorno la gioventù ed i suoi svaghi hanno cambiato volto, anche a causa dei profondi cambiamenti intervenuti nella condizione giovanile. Benché Trieste sia associata allo stereotipo di città monotona e un po’ antiquata, poco adatta alla movida, la vita notturna dei giovani triestini si anima principalmente nei locali adiacenti la piazza Unità d’Italia, che si trasforma in un vero e proprio salotto urbano, dove i ragazzi soli o in piccoli gruppi si ritrovano a chiacchierare principalmente fuori dai locali in compagnia di un bicchiere sempre pieno. Niente più passeggiate con il vestito della festa, niente più grandi compagnie legate da amicizia o ideologie comuni, poca partecipazione sociale, molto egocentrismo, poca curiosità, molto pragmatismo. Comunque rievocare i fatti passati e sovrapporli all’oggi non ha senso. Tutto è cambiato. Bisogna però tener presente che, poiché le abitudini legate all’aggregazione sociale da sempre rispecchiano le evoluzioni ed i mutamenti culturali della collettività ed i giovani sono quelli che più degli altri risentono di tali cambiamenti, il rischio è che in seguito a queste metamorfosi si affermi sempre di più tra gli adolescenti un vuoto di valori, accompagnato ad una visione troppo individualista della convivenza sociale e che si finisca per perdere di vista gli interessi ed i legami con la comunità.

Leggi l’articolo completo su Trieste News

Condividi su:

Facebook
X
Telegram
WhatsApp
Email