Trieste è la città delle mille contraddizioni. Centro portuale, aperto e disinibito, ma al tempo stesso riservato e diffidente. Dalla scontrosa grazia, come disse Umberto Saba, come un amore con gelosia… Terra che ha alle spalle una storia complessa, si affaccia sulle rive più settentrionali del Mare Adriatico e proprio al mare deve la sua vocazione agli scambi commerciali, la sua multiculturalità e l’apertura verso l’estero. Un tempo principale sbocco sul mare dell’Impero austroungarico è stata poi per lunghi decenni dimenticata dal turismo internazionale. Come la Bella Addormentata risvegliata dal bacio principesco, in questi ultimi anni ha avuto finalmente il giusto riconoscimento da parte dei vacanzieri, che l’hanno scoperta per i suoi meravigliosi palazzi ma anche per la sua tradizione culinaria. Vale la pena di soggiornare a Trieste infatti, anche solo per assaggiare le specialità gastronomiche della zona.
Nel capoluogo giuliano la cucina può sembrare un cocktail di culture e tradizioni diverse. In realtà, in questa città, che fu l’emporio marinaro dell’impero austro-ungarico, le ricette venete, austriache, greche, ungheresi, ebraiche e slave non si sono sovrapposte, ma accostate, rispettando di ciascuna la sua individualità. Come nella città giuliana convivono a pochi metri gli uni dagli altri pasticcerie-caffè e buffet, chiamati in dialetto “spaceti”, nei menù triestini coesistono piatti come il «riso alla greca» e il «gulasch» ungherese, il «sanguinaccio alla boema» e la «costoletta viennese», oltre ad una ricca sequenza di piatti di stampo veneto, diventati triestini per l’uso di certe erbe aromatiche come la maggiorana, il cumino, l’origano e l’aglio. Il pesce, sapientemente preparato con cotture ricche di aromi, fornisce alla cucina tergestina piatti eccellenti e raffinati, come pure il riso, ottimo ingrediente di delicati risotti marinari.
Il sapore dei trascorsi asburgici si ritrova nel «gnocco di pane» che è un diretto derivato dei Knödeln o canederli ancora oggi tipici della tavola trentina e altoatesina, ma molto più grande. Si tratta di un impasto di pane raffermo tagliato a pezzetti, soffritto nel burro e legato con uova, sale, farina e prosciutto. Chiuso in una salvietta si cuoce al vapore, appeso sopra una pentola in ebollizione. Di tutt’ altra natura ma altrettanto tipici sono gli speciali bolliti di maiale dai sapori indimenticabili. Si spazia dalla classica porcina (spalla di maiale), alla kaiserflaisch, alla pancetta, la lingua, le salsicce di Vienna o di “cragno”, oppure il prosciutto cotto tipo Praga, contornato dai classicissimi crauti e accompagnato da “senape e cren”. La barbaforte, detta rafano di Spagna o rafano orientale, a Trieste conosciuta come “cren”, è il condimento base dei bolliti e degli antipasti ed è uno degli alimenti triestini che più racchiude l’influenza mitteleuropea di questa zona. Gli fa compagnia un’altra delle eredità dell’impero asburgico, il liptauer, formaggio cremoso e spalmabile che deve il suo nome alla regione ungherese del Liptò, nel Nord della Slovacchia, anch’essa ex contea dell’Impero Austro Ungarico. Prodotto all’epoca con puro latte ovino e con l’aggiunta di spezie tipo il “kummel”, è ancora oggi possibile trovarlo nelle salumerie o gastronomie più fornite, ma il suo gusto si è addolcito, essendo diventato il risultato di un mix di formaggi tipo ricotta, stracchino, formaggio Philadelphia e gorgonzola dolce a cui viene aggiunta una spruzzata di paprica che gli conferisce quel colore aranciato in superficie.
Non possono mancare infine all’appello i dolci! A Trieste come a Budapest si trovano tutti i prodotti dolciari che scandiscono una storia golosissima, quella della tradizione viennese. Mentre si gusta una squisita fetta della torta Sacher, ormai famosa in tutto il mondo, o della Dobos, o ancora della Rigojanci, ci si può immaginare di incontrare Francesco Giuseppe seduto al caffè. La torta Dobos ha ben sei strati di pan di spagna, intercalati da una crema di cioccolato e burro, con in cima una lamina sottile ma croccante di caramello e proprio Sissi fu la prima al mondo ad assaggiarla. Il dolce Rigojanci deve il suo nome invece ad un violinista gitano, Rigo Jancsi, di cui si innamorò una principessa belga, che, la leggenda racconta abbandonò tutto per seguirlo. Questo cremosissimo dolce che celebra questa storia d’amore purtroppo finita male, è formato da due strati di pan di spagna al cioccolato, divisi da uno strato di crema, che ricordano per certi versi la Sacher e per altri la Dobos, ma la differenza sta proprio nel pan di spagna, cucinato mescolando albumi, panna, cioccolato, zucchero e farina, che si trasforma così in una leccornia per i palati più esigenti. James Joyce è stato invece cliente assiduo di “Pirona”, storico negozio dolciario specializzato nei più tipici dolci triestini, come il «presnitz», di origine ungherese, o la «putizza», leccornia quasi certamente di origine slava, dalla pasta lievitata e dal ripieno simile a quello della «gubana» friulana, salvo per qualche variante dovuta alla personale interpretazione del pasticciere.
Accanto ai dolci raffinati, generalmente di origine austriaca, altri, come lo «strudel» e i «krapfen», sono realizzati con ingredienti molto più semplici, ma non per questo meno gustosi e capaci di conferire alla tavola una certa allegria. Ancora oggi è piacevolissimo fare colazione assaggiando un kranz, delizioso croissant fragrante e profumato, anch’esso di origine austriaca, realizzato con diversi strati alternati di pasta per brioches e pasta sfoglia, ripieno di marmellata, uvetta, scorza di arancia candita ma anche di gocce di cioccolato e mandorle. Un’altra antichissima ricetta tramandata dalle nonne triestine, ma anche da quelle istriane e perfino dalmate è quella del Kugelhupf, dolce che ricorda la forma del copricapo dei contadini e che deve il suo nome alla parola tedesca Kugel, che significa palla, globo. Conosciuto come dolce dei poveri, preparato durante le feste paesane, veniva servito ai matrimoni e ai battesimi con una spolverata di zucchero a velo e riuniva tutti intorno ad una tavola. Sembra fosse particolarmente amato da Francesco Giuseppe, a cui veniva servito per colazione da Katharina Schratt, cantante di corte. Per concludere, non possono mancare nella lista delle prelibatezze triestine le fave, dolcetti che si preparano per la ricorrenza dei defunti e si trovano in vendita soltanto tra Trieste e Gorizia nel periodo che va da fine settembre a fine novembre. Dall’impasto a base di mandorle bianche pelate e macinate, unite allo zucchero, uova, miele, farina di riso e maraschino, hanno origini molto antiche che pare proprio risalgano al periodo Austroungarico. La forma è di piccole palline colorate, bianco-crema, rosa pastello e marrone. Il loro colore simboleggia i momenti della vita: il bianco la nascita, il rosa la vita e il marrone la morte.
Ma seduti in una caffetteria, tra una sosta e uno scambio di idee, che scandiscono la vita serena e distesa dei triestini, ci si ricorda anche che Trieste è pur sempre la capitale del caffè. Nei bar tergestini c’è addirittura un gergo che contraddistingue il modo di preparare e servire la nera ed aromatica bevanda. Così tra un “capo in bi”, un “nero goccia” o magari un “macchiato”, ognuno può scegliere il suo preferito. L’unico modo per conoscerli è assaggiarli tutti, immergendosi così nei sapori antichi di una città proiettata ad oriente, che non dimentica mai, neppure nel cibo, la sua multietnicità.
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