“Kaiserfest” apre le porte del cimitero greco-ortodosso e serbo-ortodosso di Trieste

La seconda delle escursioni culturali tematiche organizzate da Mittelnet Viaggi nell’ambito della manifestazione  “Kaiserfest”, in programma dal 26 ottobre al 3 novembre, ha spalancato i cancelli di due dei sette cimiteri presenti sulla sommità del colle di Sant’Anna, quelli ortodossi (greco e serbo). Numerosi sono stati i partecipanti che hanno aderito all’atteso evento ed accompagnati dal Dott. Luca Bellochi si sono aggirati nel silenzio dei verdi vialetti alla ricerca delle tombe più rappresentative di quei concittadini illustri che non ci sono più.

Trieste città di traffici marittimi e di frontiera è stata da sempre un luogo di incroci culturali ed un simbolo della convivenza pacifica tra popoli di diverse origini ed etnie. Furono la costituzione del porto franco della città nel 1719 e l’atteggiamento tollerante degli Asburgo nei confronti di altre religioni e nazioni che resero questo luogo attraente per mercanti, marittimi e titolari di botteghe provenienti da tutto il mondo. All’inizio il soggiorno dei commercianti stranieri in città era breve, ma le condizioni favorevoli offerte ed i privilegi concessi prima dall’imperatore Carlo VI e dopo da sua figlia Maria Teresa a chiunque avesse dimostrato di possedere uno spiccato senso imprenditoriale, fecero registrare ben presto un incremento delle presenze soprattutto serbe ed elleniche, che decisero perciò di fondare a Trieste una comunità.

Si trattava di un gruppo etnico-religioso complesso, costituito sia da greco-ortodossi che da serbo-ortodossi, chiamati “illirici”, che inizialmente condivisero la loro prima chiesa, ma successivamente realizzarono due luoghi di culto distinti.
Durante la lunga “promenade” nei due diversi luoghi di sepoltura è stato molto interessante analizzare, attraverso i numerosi monumenti di grande valore artistico, ospitati al loro interno, le storie di successo dei commercianti, dei navigatori, dei medici e dei grandi benefattori greci e serbi che hanno segnato la storia della città.
Le lapidi infatti non rappresentano solo il riflesso di una memoria privata e familiare, ma in realtà possono narrare la storia dei componenti della famiglia, come nel caso dei Popovich, oppure evidenziare gli usi e costumi dell’epoca. Su di esse simboli sacri si avvicendano a simboli profani. Angeli benedicenti e figure dolenti talvolta si trasformano in immagini femminili seminude, che trasudano dolore ma anche sensualità. Teschi o teste di cherubini alati, si alternano a papaveri, fiori legati al sonno e alla morte, falene, tipici animali della notte ad urobori, serpenti che si mangiano la coda e simboleggiano l’immortalità dell’anima, ponti floreali, rappresentativi del passaggio tra la vita e la morte a cespugli di rose selvatiche, simbolo dell’immortalità.

In questo mosaico di anime le tombe delle famiglie più illustri dell’agiata borghesia ottocentesca sembrano fare a gara per apparire. Si distinguono quella del barone Ambrogio di Stefano Ralli, noto filantropo, facoltoso commerciante e creatore delle prime società assicurative triestine, il cui busto è stato realizzato dal Ivan Rendić, abile scultore triestino croato, conosciuto a Trieste per aver scolpito molte delle statue che adornano i palazzi d’inizio Novecento, quella della famiglia Sofianopulo, della famiglia Scaramangà e di Demetrio Carciotti. Ma non passano inosservate neppure le gigantesche lapidi della famiglia del barone Demetrio Economo, che partendo dal suo commercio di granaglie estese i suoi interessi all’industria e alla finanza, o quella della famiglia Giannichesi, che sembra far uscire da un palcoscenico le allegorie della speranza e della carità.

Degno di nota infine è il mausoleo della famiglia Covacevich. Le sculture presenti in un piccolo recinto, presentano una spiccata naturalezza e ricchezza di particolari. Realizzate da Emilio Bisi, comprendono un angelo seduto nell’atto di benedire gli astanti, affiancato dai busti di Alessandro e della figlia Maria, morta in giovane età. Pregevoli i decori sui calzari del messaggero divino e i morbidi panneggi del suo abito.
due cimiteri rispecchiano la lunga presenza di entrambe le comunità nella città. Per decenni serbi e greci hanno vissuto fianco a fianco, condividendo spazi urbani, commerci e momenti di vita sociale. Tuttavia dopo la morte si sono ritrovati in due luoghi di riposo separati da un alto muro di cinta. Forse questa scelta è stata determinata dalla volontà di mantenere vive le rispettive tradizioni culturali e religiose anche oltre la morte. Ma anche se la separazione non rappresenta una frattura, ma solo il rispetto delle differenze, è altresì strano che dopo la vita, che ha sempre unito queste due comunità e durante la quale i confini si sono dissolti, sia stata proprio la morte a farli rispettare.

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