Mare, sole e sangue, all’ombra delle verdi pinete dell’Argentario.

L’Argentario è uno splendido promontorio situato sulla costa della provincia di Grosseto, dove si affacciano sul mare Porto Santo Stefano e Porto Ercole due antichi borghi di pescatori oggi accoglienti mete di un turismo internazionale.

Circondato dal mare è collegato alla terraferma tramite un istmo artificiale che corrisponde alla diga di Orbetello, oltre che dai tomboli della Giannella e della Feniglia, due spiagge lunghe e sabbiose. Il lido della Feniglia, quella lingua di terra dalla quale si ammira parte del paese di Porto Ercole, doveva essere la spiaggia della salvezza per il pittore Michele Angiolo Merisi, meglio conosciuto come Caravaggio, dal nome del suo paese natale. Rappresentava l’approdo di un naufrago che fugge non solo alla tempesta, ma soprattutto dalla punizione degli uomini. E invece proprio in quel tratto di costa, raggiunta dopo l’esilio e la fuga al Sud per evitare la condanna in seguito all’omicidio di Napoli e la tanto agognata grazia per i suoi crimini, stanco, smarrito, febbricitante e addolorato, qui vi trovò la morte.

Scomparve così il 18 luglio 1610, a 39 anni un genio artistico, capace di rivoluzionare la pittura, ma anche un assassino, latitante ormai da molti anni. La sua vita è una storia di luci e di ombre. Sembra uscita da uno dei suoi dipinti, in cui la luce pare lotti contro il buio. Una storia di arte e violenza, di santi e prostitute, di bettole pericolose e sale principesche, di preti e pendagli da forca. È soprattutto la storia di un rapporto ambiguo con la morte, che l’artista sembra evocare e cercare per poi fuggirle spaventato. Per comprendere l’enigma della sua tragica fine però, è necessario comprendere l’essenza della sua vita, un’esistenza tribolata che oscilla tra genio e follia.

Secoli dopo la sua scomparsa, il territorio dell’Argentario lo ricorda con una stele commemorativa proprio nel luogo dove si narra fu ritrovato il suo corpo senza vita, spentosi forse proprio a causa dell’ambiente circostante, all’epoca insalubre.

Oggi al centro della pineta della Feniglia una lapide celebra l’immortale artista, anche se è nel cimitero di Porto Ercole che sono conservate le sue spoglie. Si tratta di una scultura marmorea, con le fattezze di Medusa, la bocca spalancata ed un divincolarsi di serpi intorno al volto. Volontariamente richiama l’opera dell’artista scomparso, ma è anche un simbolo tra l’ infernale e il protettivo, in una contraddizione come quella che ha segnato tutta la sua esistenza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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