La Bomboniera, storica confetteria di Trieste, fondata nel 1836, è una delle più antiche pasticcerie d’Italia. Creata in origine dalla famiglia Eppinger di origine ebraica, produce ancora oggi i dolci della tradizione locale e di quella austroungarica anche se molti proprietari e diversi pasticceri si sono alternati nel corso di quasi cent’ anni di attività.
Le sobrie vetrine sono rallegrate da putizze, presnitz e pinze cotte nel forno a legna, ancora funzionante e datato 1836. Il locale, in stile liberty, mantiene l’arredo originale e nella saletta interna viene garantito ancora oggi il servizio bar. In questo luogo dove il tempo sembra essersi fermato, salta agli occhi del cliente attento un foro di proiettile nella vetrina centrale del caffè, che ci riporta indietro al 1953.
I mesi che precedettero l’estate di quell’anno furono molto travagliati dal punto di vista politico ed influirono in modo determinante sulla storia di Trieste. É forse superfluo rammentare che dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1947, venne creato nel capoluogo giuliano e nel territorio immediatamente circostante, il Territorio Libero di Trieste (TLT), uno stato indipendente sotto la protezione dell’ONU, destinato a fungere da cuscinetto fra Italia e Jugoslavia per evitare ogni ulteriore scontro bellico. Il TLT era diviso in due zone, la Zona A, governata dal Governo Militare Alleato (GMA), e la Zona B, sotto amministrazione militare titina.
La Jugoslavia di Tito, in quel periodo era al centro della crescente attenzione degli inglesi e americani, che cercavano di legarla al blocco occidentale in chiave antisovietica, sopportando per questo le sue relazioni internazionali piuttosto ambigue. D’altro canto il continuo tentativo di rimanere in bilico tra i due blocchi comportava al paese balcanico uno sforzo economico troppo alto per le sue risorse, tanto da dover valutare di accettare aiuti militari all’occidente.
Fu proprio nei primi giorni dell’agosto 1953 che iniziarono una serie di scaramucce diplomatiche tra i due paesi, con il chiaro intento di far valere pretese e rivendicazioni sulla zona A e la zona B. Questo clima da guerra fredda portò il governo italiano a convocare a Roma l’ambasciatore britannico Sir Victor Mallet con lo scopo di manifestargli la preoccupazione della nostra nazione verso le minacce slovene su Trieste, che, proseguendo, avrebbero potuto incrinare il rapporto di amicizia tra l’Italia e l’Occidente, nel malaugurato caso in cui la Jugoslavia avesse annesso la zona B, portando così alla più grave delle crisi fra lo stato italiano ed i suoi alleati.
A Trieste si respirava già’ aria di fermento, fomentato spesso anche da notizie infondate che contribuivano a seminare il panico nella popolazione. Tutto ciò sfociò inevitabilmente nella vivace protesta della minoranza slava, degli indipendentisti e della Confederazione dei Sindacati Unici Classisti del Territorio Libero di Trieste, contro una decisione che avrebbe condannato le popolazioni della Zona B alla prepotenza jugoslava e che avrebbe diviso il territorio giuliano.
Per esprimere il forte sentimento di italianità da parte dei cittadini il 9 ottobre venne fatto sventolare su ogni finestra e sul pennone del Municipio un tricolore. Questo segnale non venne visto di buon occhio dal generale britannico Winterton, che informato dell’accaduto, ordinò al sindaco di rimuovere le bandiere, sottolineando che le uniche bandiere ammesse a Trieste erano quella alabardata, quella britannica e quella statunitense e proibendo inoltre ogni manifestazione e comizio pubblico in città.
I giovani triestini, che nel 1953 erano animati da grandi sentimenti patriottici, iniziarono la rivolta, proclamando uno sciopero e manifestando di fronte alla Chiesa di Sant’Antonio. Purtroppo in seguito a violenti tafferugli morirono diverse persone. A testimonianza di questo travagliato periodo rimasero a lungo visibili i segni dei proiettili sui lati della chiesa, come ancora oggi nella vetrata in cristallo della vicina pasticceria.
Questo triste episodio, pagato a caro prezzo da diverse giovani vite, costrinse però le diplomazie a trovare una soluzione, emersa nel memorandum di Londra e nella spartizione del TLT tra zona A, assegnata all’amministrazione civile italiana e zona B, assegnata all’amministrazione civile jugoslava.
Anche dopo tale divisione però il sentimento di rancore e risentimento visse per molti anni nei cuori degli abitanti di questi sfortunati territori. Oggi sembra impossibile ripensare a quando dietro ad ogni cespuglio del Carso c’era un mitra in prossimità della frontiera, vedendo come i confini sono caduti tra indifferenza, gioia, orgoglio, allegria e speranza.
Con l’ingresso della vicina Slovenia nell’Unione Europea, restano i cippi al posto della dogana, ma è caduto un “muro” storico, oltre il quale oggi c’è solo un vicino, non il nemico!