Trieste fra le vivaci braccia del vento, come un respiro senza confini ….

Trieste è una città che cattura, ma non si lascia catturare facilmente. Come il vento che la attraversa, impetuoso o sottile, questa città di frontiera sfugge alle definizioni rigide e si muove in uno spazio liquido tra culture, lingue e identità diverse. È un luogo dove i confini, più che linee, diventano ombre, esistono, ma non si vedono chiaramente.

Il vento come simbolo

La Bora è il simbolo di Trieste e parte integrante della sua anima. Soffia forte, a volte fino a piegare gli alberi e fermare l’andatura dei passanti, ma lascia sempre un cielo limpido e una luce cristallina.

La Bora non conosce limiti, arriva improvvisa, oltrepassa colline e mare, tocca le case e scivola nelle vie strette. Assomiglia a Trieste, un luogo che non appartiene ad un solo mondo ma ne abbraccia più d’uno. Qui, la Mitteleuropa si incontra con il Mediterraneo, l’Oriente con l’Occidente, l’antico con il moderno.

Trieste, città di confine senza frontiere

Storicamente, Trieste è sempre stata un crocevia di popoli e culture. Italiani, sloveni, croati, austriaci, greci, ebrei, tutti hanno lasciato un segno. Città portuale per eccellenza, ovvero luogo di transito, “porta d’ingresso” aperta verso l’Europa e il mondo. Le sue frontiere non sono mai state nette. Durante la sua storia tormentata, Trieste ha visto imperi salire e cadere, confini tracciati e poi cancellati, lingue dominanti alternarsi come onde del mare.

L’essenza della città non si lascia ingabbiare.

Vive nei suoi caffè storici dove si respira ancora l’eco di Joyce e Svevo, o sulle rive del Molo Audace che guarda all’infinito e nelle piazze che sembrano salotti aperti sul mondo. Trieste ha una bellezza che sfugge alla catalogazione, come il vento che la plasma e la definisce.

Un’identità in continuo movimento.

Il triestino è per natura, abituato a convivere con l’idea del confine. Una frontiera che in passato ha diviso ma ha anche saputo unire. La lingua stessa ne è un esempio. Il dialetto triestino porta radicato in sé inflessioni slave e germaniche, parole assorbite da incontri e contaminazioni culturali. È una lingua “ibrida” e aperta, come il capoluogo giuliano.

Trieste è una città che si muove. È in perenne equilibrio tra passato e presente, tra ciò che era e ciò che sarà. Ogni pietra del Carso che la circonda racconta una storia, ogni vicolo stretto o palazzo neoclassico parla di incontri e scambi.

E poi c’è il mare, che come il vento, suggerisce l’idea dell’infinito, della libertà, di un orizzonte sempre aperto,  che annulla ogni limite fisico.

Trieste non è solo una città di confine, è una città oltre il confine. Come il vento che la attraversa, la sua identità non può essere rinchiusa in un’unica definizione. È un luogo di passaggio, di incontro, di mescolanza. Trieste non ha contorni precisi, e forse è proprio questo a renderla unica. Come la Bora lascia un segno indelebile, ma continua il suo viaggio.

Chi arriva a Trieste lo sa, questa città si vive come il vento, senza limiti, sempre oltre.

 

 

“Forse dentro al vento è rimasto qualcosa del tuo amore (Alda Merini)”.

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