Triestine “mule” volitive. Ruolo della figura femminile nella città di Trieste ai tempi dell’impero.

Tra l’ottocento ed i primi anni del novecento, mentre nel mondo le donne faticavano a conquistare il loro ruolo nella società e la loro emancipazione, a Trieste, crocevia di traffici commerciali e culturali e città irrequieta, la figura femminile aveva un ruolo importante, sia nella realtà sia nella letteratura, ma soprattutto non era subordinata a quello dell’uomo, padre o marito che fosse. Uno dei motivi di questa disinvolta autonomia si può certamente ricondurre alla necessita di reggere l’economia e la quotidianità familiare. I mariti impiegati come marittimi o commercianti infatti, assenti da casa per lunghi periodi le lasciavano, seppur con riluttanza, padrone del loro destino e di quello dei figli.

Ricordate per la loro bellezza, vengono descritte come alte, bionde e sinuose, anche se forse la loro idealizzazione può portare a confondere le protagoniste dei racconti letterari con le figure reali e nell’ambito di quest’ultima categoria quelle appartenenti alla borghesia benestante, frequentatrici di caffè e circoli letterari, dalle umili lavoratrici con abiti logori e l’evidente stanchezza dipinta sul volto. Chiamate con dei nomi davvero bizzarri come “venderigole” o “sessolotte” (rispettivamente fruttivendole e mondatrici di caffè e di ogni altro genere di merce sbarcata dalle navi del grande porto asburgico), modiste o “pancogole” (portatrici di pane),”mussolere” o “mlekarice” (ambulanti dedite alla vendita di mussoli, molluschi tipici della zona o lattaie), le loro condizioni di lavoro erano durissime. Estate e inverno, con il sole o con la bora sferzante le poverine dovevano assicurare la loro presenza in Piazza Ponterosso, dove si svolgeva giornalmente il mercato.

Le “mule” triestine furono le prime donne in Italia a permettersi di fumare nei bar e a frequentarli anche da sole, ma sono note anche per la loro filantropia e per loro cultura. Sara Davis, a cui è stata intitolata una via della città, figlia di una ricca famiglia inglese, viene ricordata perché fece un lascito al comune per la costruzione del mercato coperto di via Carducci, dopo essere rimasta profondamente impressionata dalle durissime condizioni di lavoro delle ambulanti. Nell’ambito culturale del tempo emergono Anita PittoniWanda WulzLeonor Fini e in un modo più singolare anche Nella Doria Cambon.

Anita Pittoni, scrittrice, editrice e pittrice, figura poliedrica, pioniera della cultura triestina ospitò presso la sua abitazione di via Cassa di Risparmio noti letterati ed artisti dell’epoca. Wanda Wulf e sua sorella Marion portarono avanti la professione del nonno Giuseppe e del padre Carlo dedicando la propria vita alla fotografia. Leonor Fini invece si distinse nella pittura, seguendo un percorso anticonformistico ed assimilando l’influsso del surrealismo dagli amici Andre’ Breton, Salvador Dalì, Paul Eluard e Max Ernst. Insofferente alle convenzioni e affascinata dalle novità, rimane di lei, nella sua Trieste, esposto al Museo Revoltella, un affascinante autoritratto con cappello rosso ed un vestito che ricorda la pelle del serpente, a simboleggiare la sua ricerca continua di trasformazione e cambiamento. Nella Doria Cambon infine, ricca borghese, donna eccentrica e idealista, appassionata di poesia, apri anch’essa’ la sua casa, di via della Geppa a scrittori, scienziati, politici e personaggi importanti, ma non solo per appuntamenti culturali. Il motivo per cui Nella Doria divenne famosa, anche fuori Trieste, infatti, fu per la sua mania per le sedute spiritiche.

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