‘Un giorno tutto questo finirà’ i ‘preppers’ arrivano al Teatro dei Fabbri di Trieste

La quarta edizione della rassegna “AI FABBRI 2” de La Contrada, dedicata al teatro contemporaneo, si è aperta venerdì 8 novembre e sabato 9 novembre al Teatro dei Fabbri, nel cuore della città vecchia di Trieste. Il sipario si è alzato su una produzione della compagnia teatrale Ferrara Off, intitolato “Un giorno tutto questo finirà”.
Lo spettacolo, liberamente ispirato al racconto “Khady Demba” di Marie Ndaye ha visto in scena Diana Hobel, nel doppio ruolo di attrice, ma anche di sceneggiatrice, affiancata da Marco Sgarbi, sotto la regia di Giulio Costa. La Hobel che, nei suoi anni di carriera, ha recitato in “Il ragazzo invisibile”, “Leoni” e “Il risveglio di un gigante”, non è nuova alla creazione di progetti originali, caratterizzati da un puntuale lavoro sulla parola. In questo testo, che narra di due storie parallele, vi è un attento studio sull’uso di due linguaggi differenti, quello verbale e quello fisico.

La parola infatti è utilizzata per raccontare la storia di Khady Demba, una giovane donna senegalese che rimasta vedova viene allontanata dalla famiglia del marito e costretta ad emigrare in Europa per lavorare. Le azioni invece servono a mettere in luce la storia di una coppia occidentale benestante, senza figli e senza nome, che condivide una casa e una vita “sfocata” che scorre senza comunicazione. I due, chiusi in una quotidianità ripetitiva, monotona che sembra asfissiarli, senza contatto e senza vitalità, vengono attorniati solo da una voce fuori campo che narra una storia lontana, fatta di sofferenze, umiliazioni, ma anche di tanta dignità, proprio quella di Khady Demba, povera e sola, nel suo desolato peregrinare alla ricerca di una vita migliore.

I suoni che riecheggiano nella sala rappresentano la voce interiore della protagonista, che esprime il suo disagio e sembrano voler sottolineare l’asetticità del rapporto coniugale, dove i due personaggi, seppur ancorati all’ordinario, talvolta vacillano verso la follia. Ma vogliono evidenziare anche, proprio mettendo a confronto due mondi apparentemente molto distanti tra loro, come quella donna che tra le due sembra essere più fragile, sia dotata in realtà di una forza interiore inalterabile, che anche in mezzo alle difficoltà più terribili e umilianti non dubita mai di essere una creatura unica. Per tutto il racconto infatti il nome di Khady Demba risuona come un vero e proprio mantra di dignità, a prova della sua unicità e del valore della sua vita, considerata da tutti insignificante.

Sul palcoscenico, attraverso l’immagine di due donne provenienti da contesti socio-geografici diversi, l’autrice vuole stimolare il pubblico ad una riflessione sulla nostra identità di europei, mettendo in contrapposizione il legame intenso della giovane donna africana con le proprie radici e l’impossibilità di decidere del proprio destino, con la superficialità, l’agiatezza e la noia di noi occidentali, stritolati spesso dall’individualismo e dalla paura di perdere tutto.

Un’opera toccante che fa da eco all’attualità, dove giornalmente una folla di africani subsahariani tenta l’emigrazione in Europa, mentre la popolazione “più evoluta” è impegnata a prepararsi per affrontare ogni sorta di eventualità catastrofica, che sia economica, climatica, informatica o pandemica, forse proprio per esorcizzare il terrore della privazione totale.

Puoi leggere l’articolo anche su Trieste News

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