Sono già passati una ventina d’anni da quando è sbocciata la mia passione per il Veneto ed in particolare per le sue moltissime ville sparse nella regione. Belle, superbe ed aristocratiche. Visitarle per me significa una festa per gli occhi, per l’anima, per la mente, ma soprattutto per l’immaginazione. Rappresentano il matrimonio perfetto tra arte e natura e raccontano tra le sue mura secoli di storia.
Le ville venete patrimonio culturale di un’epoca
Già i patrizi romani coltivavano il mio stesso interesse. Le prime signorili residenze venete infatti risalgono alla colonizzazione romana, quando i nobili amavano costruirsi sontuose case in zone extraurbane. Le utilizzavano per soggiornarvi in alcuni periodi dell’anno e curare i loro interessi agrari, riposandosi e godendosi la vita all’aria aperta. Questa abitudine si è mantenuta inalterata anche quando Venezia, divenuta una grande potenza marittima, vide il fiorire dei commerci e l’ascesa della borghesia come nuova classe sociale emergente.
“Li nobili et citadini veneti inrichiti volevano trionfare et vivere et atendere a darse piacere et delectatione et verdure in la terraferma et altri spassi, abbandonando la navigatione (…) et facevano palagi et spendevano denari assai». Così Gerolamo Priuli, nei Diarii del 1509, raccontava le ragioni che diedero vita alla rete di ville meravigliose sparse nei dintorni di Venezia.
La villa Capra di Vicenza. Il capolavoro Palladiano de ”La rotonda”
La prima delle eleganti dimore che ha solleticato la mia curiosità è stata Villa Almerico Capra detta “la rotonda”, nella bucolica periferia vicentina. Fu commissionata nel 1566 ad Andrea Palladio, ricercato professionista dell’epoca, dall’omonimo canonico vicentino, raffinato uomo di cultura, a lungo residente a Roma come referendario dei papi Pio IV e Pio V. Venne portata a compimento da Vincenzo Scamozzi per i fratelli Capra, avvicendatisi nella proprietà.
La splendida residenza, mirabile esempio di villa di città e non di campagna, svetta ancora oggi su di un poggio, con la sua grande cupola e da lontano spicca come un tempio che sorge dalla collina.
La suggestione religiosa nel capolavoro del Palladio
La sua struttura richiama il Pantheon di Roma. L’ispirazione del Palladio infatti fu un omaggio all’antichità, perfettamente in linea con il gusto del committente che desiderava un’abitazione-tempio strutturata per un’unica persona. Benchè disposta su tre piani, quello che colpisce l’occhio è il piano nobile, peraltro l’unico visitabile.
Appena entrati si viene accolti in una grande sala circolare, simmetrica tanto quanto il suo esterno, normalmente destinata all’architettura religiosa, dalla quale si dipartono a croce quattro bracci che conducono alle relative porte di accesso e a grandi scalinate.
L’atmosfera che avvolge il visitatore è a metà tra il sacro e il profano e quando gli occhi dal centro della sala salgono verso la cupola, si percepisce una sorta di comunicazione mistica tra cielo e terra, che in questo luogo convivono in magica armonia. Qui, dopo molti tentativi perpetrati dallo stesso Palladio, infatti, le forme perfette del cerchio e del quadrato, coesistono sorprendentemente.
“Un luogo dove finalmente l’animo stanco delle agitazioni della Città, prenderà ristauro e consolazione, e quietamente potrà attendere agli studi e alla contemplazione».
La storia di un gioiello architettonico
Il prelato che ne commissionò la costruzione vi soggiornò pochissimo e alla sua morte la proprietà passò ai fratelli Odorico e Mario Capra. Acquistata poi nel 1912 dal conte Attilio Valmarana la villa è oggi di proprietà dei suoi eredi che l’hanno aperta al pubblico nel 1980. In occasione della mia prima visita a questo singolare gioiello di cemento, non era possibile varcare il portone d’ingresso. All’epoca, nei mesi estivi infatti, la casa era abitata dalla famiglia proprietaria. Questa casualità aveva determinato il mio disappunto ma anche alimentato la mia curiosità. Fortunatamente in seguito, per volere di Andrea Valmarana e dei suoi quattro figli, questo bene prezioso, che rappresenta uno dei frammenti più importanti del nostro patrimonio edilizio, è stato reso accessibile al pubblico, al pari di un museo.
Dal lontano 1976 diversi interventi di restauro si sono succeduti per riportare questo bene storico al suo antico splendore. Prima è stata la volta della copertura, anche grazie al contributo del film “Don Giovanni “che il regista Joseph Losey decise di ambientare qui. Poi via via gli intonaci esterni, le fondazioni e la pulitura degli affreschi che decorano i monumentali spazi interni del piano nobile e della cupola. Questa come altre strutture architettoniche richiedono cure costanti, senza i clamori dei grandi restauri pubblici, ma nella ben più faticosa quotidianità, quella che prevede una costante manutenzione ed un notevole impegno finanziario per i proprietari.
Nel Veneto delle 3.782 ville della regione l’86% sono private. E’ compito quindi dei possessori mantenerle inalterate nel tempo e decidere sulla loro apertura al pubblico, anche se esse rappresentano il nostro patrimonio culturale.
Ma questa come altre icone senza confini e senza tempo, non dovrebbero appartenere allo Stato e di conseguenza essere aperte senza limitazioni alla collettività?